Ricorso della Regione Umbria, in persona della presidenza della giunta regionale pro tempore dott.ssa Maria Rita Lorenzetti, autorizzata con deliberazione della giunta regionale n. 1 dell'8 gennaio 2004, rappresentata e difesa, come da procura notarile del 21 gennaio 2004, n. rep. 95831, rogata dal dott. Giuseppe Brunelli del Collegio di Perugina, dall'avv. prof. Giandomenico Falcon di Padova, con domicilio eletto in Roma presso l'avv. Luigi Manzi, via Confalonieri n. 5; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge 24 novembre 2003, n. 326, «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 274 del 25 novembre 2003 - Supplemento ordinario n. 181, nella parte in cui converte, con modificazioni, l'art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, ed in particolare i commi: 1, 2, 3, 25, 26, lett. a), in quanto prevedono un nuovo condono edilizio; 25, in quanto non eccettua dal condono gli abusi per i quali il procedimento sanzionatorio sia gia' iniziato; 26, lett. a) in quanto subordina la sanabilita' alla legge regionale per gli abusi minori in zone non vincolate, sottraendo a questo regime gli abusi maggiori e gli abusi minori in zone vincolate; 3, 25, 26, lett: a), 28, 32, 35, lett. a) e b), 37, 38, 40 e Allegato 1, in quanto, con disciplina dettagliata ed autoapplicativa, stabiliscono le condizioni, le modalita', i termini e le procedure relative al condono edilizio; 25 e 35, in quanto consentono di «far passare» per gia' costruite opere in corso di costruzione o ancora da costruire; 37, in quanto prevede un meccanismo di silenzio-assenso; 25, in quanto prevede un limite di volume per ogni singola richiesta; 1, 2, 3, 25, 26, lett. a), per mancato coinvolgimento delle regioni, in violazione degli articoli 3, comma primo, 5, 9, 97, comma primo, 114, comma primo, 117, comma secondo, 117 comma terzo, 118, comma primo, Cost. nonche' del principio di ragionevolezza, di indisponibilita' dei valori costituzionalmente tutelati, del principio di leale collaborazione tra lo Stato e le regioni e dell'art. 2 d.lgs. n. 28l/1997. F a t t o La Regione Umbria ha gia' impugnato l'art 32 del decreto-legge n. 269/2003 con ricorso n. 87/2003, pendente avanti a codesta Corte. La legge 24 novembre 2003, n. 326, ha convertito il decreto-legge n. 269/2003, lasciando nella sostanza inalterate quasi tutte le disposizioni censurate con il ricorso n. 87/2003. La legge n. 326/2003 e' dunque affetta dai medesimi vizi di costituzionalita' denunciati in relazione al decreto-legge. Pare opportuno non riprodurre per esteso nel presente ricorso tutte le considerazioni svolte nel ricorso n. 87/2003, ma limitarsi a sintetizzare i motivi di impugnazione, valendo per la loro illustrazione piu' analitica le argomentazioni svolte nella parte in Fatto e nella parte in Diritto del ricorso n. 87, alle quali integralmente si rinvia. Si puo' qui aggiungere, pero', una considerazione che mette ulteriormente in luce quale sia la considerazione che il legislatore statale ha delle esigenze della tutela del territorio. I commi 6, 9, 12 e 24 dell'art. 32 decreto-legge n. 269/2003, come convertito, prevedevano il reperimento e la destinazione vincolata di risorse preordinate alla effettuazione di interventi di riqualificazione di nuclei edilizi ed urbani caratterizzati da abusivismo edilizio. Il comma 6, in particolare, destinava 10 milioni di euro per l'anno 2004 e 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2005 e 2006 al fine di concorrere alla partecipazione ad interventi e politiche di riqualificazione dei nuclei interessati da fenomeni di abusivismo, attivati dalla regione attraverso l'incremento della oblazione, secondo quanto disposto dal comma 33. Parimenti, al comma 9 del decreto-legge, come convertito, erano previste risorse finanziarie per attivare un programma nazionale di interventi di riqualificazione delle aree per degrado economico-sociale (i cui ambiti di rilevanza ed interesse nazionale erano da individuarsi con decreti del Ministero per le infrastrutture, di concerto con i Ministri dell'ambiente e d'intesa con la conferenza unificata) e, ai successivi commi 11 e 24, rispettivamente per interventi di recupero e riqualificazione paesaggistica, nonche' per la valorizzazione e il miglioramento delle aree demaniali. Senonche' tali risorse finanziarie - gia' ritenute palesemente insufficienti dalle regioni - sono state completamente espunte dal testo legislativo ad opera della legge Finanziaria 2004, che con il comma 70 dell'art 2 ha abrogato seccamente i commi 6, 9, 11 e 24, del sopra citato art. 32 della legge n. 326/2003, con cio' cancellando dal sistema di reimpiego di parte dei fondi provenienti dal condono e dalla stessa ratio dell'art. 32 qualsivoglia concreta possibilita' di attuazione degli interventi di riqualificazione previsti, su un piano non certamente marginale, dalle misure di condono edilizio. Si puo' quindi rilevare la irragionevolezza e la scarsa attendibilita' del meccanismo congegnato attraverso le varie disposizioni di cui all'art. 32 per realizzare finalita' di reale e credibile intento di riqualificazione del territorio. D i r i t t o 1. - Illegittimita' costituzionale dei commi l, 2, 3, 25, 26, lett. a), in quanto dispongono il nuovo condono edilizio, per violazione dell'art. 117, comma 2 e 3, Cost. Nel ricorso n. 87/2003 si e' osservato che le norme sul condono edilizio intervengono in materia regionale, e che esse potrebbero volersi giustificare, da parte dello Stato, o in quanto principi fondamentali in materia di «governo del territorio», o in quanto principi fondamentali nella materia del «coordinamento della finanza pubblica» o in quanto esercizio di potesta' legislativa nella materia dell'ordinamento penale. In realta', tuttavia, le disposizioni che prevedono il condono non possono essere considerate rientranti in alcuno dei tre titoli di intervento ipotizzati, come analiticamente illustrato nel ricorso n. 87 (v. pp. 11-16). Tali censure sono ribadite attraverso il presente ricorso. Ne risulta confermata la lesione delle potesta' legislativa ed amministrativa regionale in materia urbanistica e l'illegittimita' costituzionale delle disposizioni impugnate. 2. - Illegittimita' costituzionale degli stessi commi 1, 2, 3, 25, 26, lett a), in quanto dispongono il nuovo condono edilizio, per violazione dei principi di ragionevolezza e di eguaglianza, dell'art. 97, comma primo, nonche' degli art. 117 e 118 Cost. Oltre alle ragioni di illegittimita' costituzionale della normativa impugnata collegate al riparto di poteri legislativi tra lo Stato e la Regione Umbria, nel ricorso n. 87/2003 si sono riproposte tutte le ragioni di doglianza gia' prospettate dalle regioni con il ricorso rivolto avverso il condono attivato dalla legge n. 724 del 1994, consistenti nella violazione dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza, nella violazione dell'art. 97 (oltre che degli artt. 117 e 118 Cost.): ragioni delle quali codesta stessa Corte costituzionale ebbe ad affermare, nella sentenza n. 416 del 1995, che - se pure non potevano in quell'occasione accogliersi - sarebbero state pienamente valide e necessariamente da accogliere nell'ipotesi «di altra reiterazione di una norma del genere, soprattutto con ulteriore e persistente spostamento dei termini temporali di riferimento del commesso abusivismo edilizio». Le norme di cui sopra violano dunque il principio di ragionevolezza, di buon andamento dell'amministrazione e di eguaglianza (come illustrato nel ricorso n. 87, pp. 17 s.), e questi vizi si traducono in una lesione delle competenze costituzionali della regione, che - a causa del condono - vede illegittimamente frustrata la propria attivita' legislativa ed amministrativa di governo del territorio, in quanto gli abusi compiuti possono sffiggire alle sanzioni amministrative e si incentivano abusi futuri. 3. - Illegittimita' costituzionale degli stessi commi 1, 2, 3, 25, 26, lett a), in quanto dispongono il nuovo condono edilizio, per violazione dell'art 9 Cost. e del principio costituzionale di indisponibilita' dei valori costituzionalmente tutelati. Va poi denunciata (ancora come illustrato nel ricorso n. 87/03) una ulteriore e piu' profonda violazione del principio implicito nella Costituzione di non disponibilita', da parte del legislatore ordinario (non importa se statale o regionale), dei valori costituzionalmente tutelati, in base al quale il valore dell'ordinato assetto del territorio (costituzionalmente tutelato come risulta dall'art. 9, comma 2, Cost. e dalla stessa costruzione costituzionale del governo del territorio come autonoma materia di legislazione) non puo' essere scambiato con valori puramente finanziari. In questi termini, il condono edilizio non e' in nessun modo paragonabile ad altri condoni che pure comportino «clemenza» penale, quali i condoni fiscali, in occasione dei quali una pretesa economica viene rinunciata in vista di una diversa, e sia pure piu' ridotta, pretesa economica, senza compromettere altri valori costituzionali (v. piu' ampiamente pp. 18-21 del ricorso n. 87/03). 4. - In subordine: illegittimita' del comma 26, lett a), in quanto subordina la sanabilita' alla legge regionale per gli abusi minori in zone non vincolate, sottraendo alla decisione regionale gli abusi maggiori e gli abusi minori in zone vincolate. Nel ricorso n. 87 (p. 21) si e' censurato specificamente il comma 26, che determina la paradossale situazione per cui chi ha commesso abusi piu' gravi puo' senz'altro usufruire della possibilita' del condono, mentre chi ha commesso abusi meno gravi puo' usufruirne se le regioni lo prevedono: il che implica chiaramente la violazione dei principi di ragionevolezza e di eguaglianza (e mediatamente degli articoli 117 e 118 Cost., per la ripercussione di quei vizi sulle competenze regionali in materia di governo del territorio). E' stato dunque impugnato il comma 26, lett. a), nella parte in cui non condiziona la sanabilita' dell'illecito amministrativo all'intervento di una legge regionale che la preveda. Tale censura viene ribadita attraverso il presente ricorso. 5. - In subordine: illegittimita' del comma 25, in quanto non eccettua dal condono gli abusi per i quali il procedimento sanzionatorio sia gia' iniziato. Nella denegata ipotesi che le censure sopra esposte non risultassero da condividere, la regione ha poi lamentato, nel ricorso n. 87/03 (p. 22 s.), che la disciplina impugnata non abbia escluso - dall'ambito di applicazione del condono - gli abusi per i quali il procedimento sanzionatorio sia gia' iniziato. Infatti, in casi di questo tipo, la possibilita' di condono risulta ancora piu' irragionevole e maggiormente lesiva del principio di buon andamento dell'amministrazione: perche', quando il procedimento sanzionatorio e' gia' iniziato, il condono non arreca alcun vantaggio al pubblico interesse, ne' in termini di «uscita allo scoperto» di chi ha commesso l'abuso ne' in termini economici, dato che spesso le sanzioni urbanistiche hanno carattere pecuniario. Anche tale censura e' ribadita attraverso il presente ricorso. 6. - In subordine: illegittimita' costituzionale dei commi 3, 25, 26, lett. a), 28, 32, 35, lett a) e b), 37, 38, 40 e Allegato 1, in quanto, con disciplina dettagliata ed autoapplicativa. stabiliscono le modalita', i termini e le procedure relative al condono edilizio. Come illustrato nel motivo n. 6 del ricorso n. 87/03, va poi osservato che, qualora, in denegata ipotesi, si ritenesse che la previsione di un nuovo condono sia, per qualunque e qui imprevedibile ragione, legittima, si dovrebbe perlomeno ammettere l'illegittimita' di quelle norme di dettaglio che stabiliscono le modalita', i termini e le procedure relative al condono edilizio, e cioe', in particolare, dei commi 28 (concernente i termini), 32 (concernente la presentazione della domanda), 35, lett. a) e b) (concernente la documentazione da allegare alla domanda), 37 (che prevede il meccanismo del silenzio-assenso), 38 (quanto meno nella parte in cui fa riferimento alla misura degli oneri concessori e alle relative modalita' di versamento) e 40 (concernente i diritti e gli oneri previsti per l'istruttoria della domanda di sanatoria). Infatti, la presenza di norme di dettaglio potrebbe giustificarsi solo sulla base di una competenza statale esclusiva: ma non si vede quale titolo di competenza statale possa comprendere le norme sulle modalita', sui termini e sulle procedure relative al condono edilizio: per il resto, v. le pp. 23-26 del ricorso n. 87/03. 7. - In subordine: ulteriore illegittimita' dei commi 25 e 35, in quanto consentono di «far passare» per gia' costruite opere in corso di costruzione o ancora da costruire. Violazione degli artt. 3, 9, 97, 117 e 118 Cost. Nel ricorso n. 87/03 si sono poi impugnati specificamente il comma 25 dell'art. 32 (che estende il condono alle opere abusive ultimate entro il 31 marzo 2003: dunque, solo sei mesi prima della pubblicazione del decreto-legge, mentre l'art. 39 legge n. 724/1994 si applicava alle opere ultimate un anno prima e l'art. 31 legge n. 47/1985 alle opere ultimate diciassette mesi prima) ed il comma 35, che definisce la documentazione da allegare alla domanda di condono. Tali norme, infatti, favoriscono la possibilita' che si «facciano passare» per gia' costruite opere in corso di costruzione o ancora da costruire, con conseguente violazione del principio di ragionevolezza e lesione delle ragioni della buona amministrazione e della tutela del territorio (e dunque degli artt. 3, 9, 97, 117 e 118 Cost. v. p. 26-28). Dunque, il comma 35 e' illegittimo nella parte in cui non prevede in tutti i casi la necessita' che il costruttore o il direttore dei lavori attesti, sotto la propria responsabilita' anche penale, l'ultimazione dei lavori alla data prevista. Dal canto suo, il comma 25 e' illegittimo nella parte in cui fissa il termine del 31 marzo 2003 anziche' uno piu' risalente, che potrebbe essere individuato considerando quale minimo intervallo ragionevole per la condonabilita' di abusi passati quello fissato a suo tempo dall'art. 31 legge n. 47/1985. La censura in questione e' ribadita con il presente ricorso. 8. - In subordine: ulteriore illegittimita' del comma 37, in quanto prevede un meccanismo di silenzio-assenso. Violazione degli art. 3, 9, 97, 117 e 118 Cost. L'art. 32, comma 37, prevede il meccanismo del silenzio-assenso in relazione alle domande di sanatoria, laddove tale istituto non e' contemplato neppure dalla disciplina generale del permesso edilizio (v. art. 20 d.P.R. n. 380/2001). E' del tutto irragionevole e discriminatorio assoggettare le domande di permesso che si riferiscono ad opere sicuramente abusive (perche' dichiarate tali dai richiedenti) ad un regime di verifica meno severo di quello vigente per le domande di permesso che vengono dichiarate dagli interessati conformi alla disciplina urbanistica. Tale norma, inoltre, viola gli artt. 9, 97, 117 e 118 Cost. perche' rende eventuale il controllo dei comuni sull'ammissibilita' delle domande di condono, ledendo ulteriormente le competenze regionali in materia di governo del territorio (v. piu' ampiamente il ricorso n. 87/03, pp. 28-30). 9. - In subordine: ulteriore illegittimita' del comma 25, in quanto prevede un limite di volume per ogni singola richiesta. Violazione degli articoli 3, 9, 97, 117 e 118 Cost. L'art. 32, comma 25, decreto-legge n. 269/2003, come gia' l'art. 39 legge n. 724/1994, prevedeva, prima della conversione, che fossero sanabili le «opere abusive... relative a nuove costruzioni residenziali non superiori a 750 mc per ogni singola richiesta di titolo abilitativo edilizio in sanatoria». Ora, dopo la conversione, esso stabilisce che sono sanabili le «opere abusive realizzate nel termine di cui sopra relative a nuove costruzioni residenziali non superiori a 750 metri cubi per singola richiesta di titolo abilitativo edilizio in sanatoria, a condizione che la nuova costruzione non superi complessivamente i 3.000 metri cubi». Dunque, ora la disposizione pone un limite non solo in relazione alla singola opera da sanare ma anche in relazione alla costruzione complessiva. Resta, pero', l'illegittimita' gia' denunciata con il ricorso n. 87/03, in quanto la norma in questione appare irragionevole e lesiva dei parametri indicati in epigrafe nella parte in cui non precisa che non sono ammesse piu' richieste riferite alla medesima area: e' chiaro, infatti, che, anche alla luce di quanto previsto dall'art. 39 legge n. 724/1994, potrebbero essere stati costruiti edifici attigui, ognuno dei quali rispettoso del limite di volume sanabile, al fine di eludere il limite stesso. Cio' arreca un ulteriore pregiudizio alle esigenze di tutela del territorio e alle relative competenze regionali. Poiche' gli emendamenti apportati al decreto-legge hanno efficacia solo per il futuro (v. art. 15, comma 5, legge n. 400/1988, che in realta' conferma il generale principio di irretroattivita), si censura qui specificamente l'art. 32, comma 25, nella versione originaria (che potrebbe essere stato gia' applicato, qualora una domanda di condono sia stata accolta prima dell'entrata in vigore della legge di conversione), in quanto non solo non precisa che non sono ammesse piu' richieste riferite alla medesima area ma non pone neppure un limite di volume complessivo per la nuova costruzione abusiva: cosi' risultando ancora piu' irragionevole della norma introdotta dalla legge n. 326/2003 e maggiormente lesivo delle esigenze di tutela del territorio e delle relative competenze regionali. Tale norma, pur se efficace solo in relazione al periodo di vigenza del decreto-legge, e' stata «stabilizzata» dalla legge di conversione, che l'ha modificata solo per il futuro. 10. - In subordine: illegittimita' costituzionale dei commi 1, 2, 3, 25, 26, lett. a), per mancato coinvolgimento delle autonomie regionali. Infine, nel ricorso n. 87/03 (p. 30 s.) si e' censurato il fatto che, a quanto risulta, ne' in sede di adozione del decreto-legge ne' in sede di adozione del disegno di legge di conversione ne' nel corso dell'esame parlamentare della legge stessa le autonomie regionali sono state consultate attraverso la Conferenza Stato-regioni. Poiche', come visto, la disciplina qui impugnata riguarda materie di competenza regionale, tale mancato coinvolgimento lede il principio di leale collaborazione, espressamente sancito ora nel Titolo V della Costituzione. In particolare, risulta violato l'art. 2, comma 3, d.lgs. n. 281/1997, ne' si puo' obiettare che, nel caso di specie, la consultazione non era possibile, dato che l'art. 2, comma 5, d.lgs. n. 281 disciplina espressamente i casi di urgenza: «quando il Presidente del Consiglio dei ministri dichiara che ragioni di urgenza non consentono la consultazione preventiva, la Conferenza Stato-regioni e' consultata successivamente ed il Governo tiene conto dei suoi pareri: a) in sede di esame parlamentare dei disegni di legge o delle leggi di conversione dei decreti-legge». Dunque, la mancata consultazione della Conferenza risulta comunque ilegittima per violazione di regola attuativa del principio costituzionale di leale cooperazione (v. anche la sent. della Corte costituzionale n. 398/1998, punto 16 del Diritto).